Dopo quasi due anni di sangue, macerie e sofferenze, il Medio Oriente torna a respirare. Nella giornata di ieri, domenica 13 ottobre 2025, Israele e Hamas hanno firmato a Sharm El-Sheikh, in Egitto, un accordo di pace che segna la conclusione formale delle ostilità nella Striscia di Gaza.
La cerimonia, trasmessa in diretta dalle principali emittenti internazionali, ha rappresentato un momento di altissimo valore politico e simbolico. Attorno al tavolo sedevano, oltre ai rappresentanti israeliani e palestinesi, i principali mediatori internazionali: Egitto, Qatar, Turchia e Stati Uniti, con la presenza del presidente americano Donald Trump e del segretario generale delle Nazioni Unite.
Una trattativa lunga e segreta
Il negoziato è stato il risultato di mesi di incontri riservati, svolti tra Il Cairo, Doha e Ankara. Le delegazioni hanno cercato a lungo un compromesso sul tema più delicato: il rilascio dei prigionieri e la fine del blocco economico su Gaza.
La diplomazia egiziana ha svolto un ruolo centrale, garantendo canali di comunicazione costanti, mentre il Qatar ha promesso aiuti economici immediati per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali.
Il testo dell’intesa, denominato “Trattato di Sharm El-Sheikh”, prevede la cessazione totale delle operazioni militari, l’apertura graduale dei confini e l’avvio di una fase politica destinata a ridefinire il futuro assetto di Gaza.
Scambio di ostaggi e prigionieri: il primo segnale di fiducia
Uno dei capitoli più significativi riguarda lo scambio di prigionieri e ostaggi.
Hamas ha liberato 20 cittadini israeliani, detenuti da oltre due anni, mentre Israele ha rilasciato 1.968 prigionieri palestinesi, molti dei quali arrestati per motivi politici.
Gli scambi, coordinati dall’ONU lungo il confine con l’Egitto, hanno mostrato immagini di commozione e sollievo da entrambe le parti. Per molti analisti, si tratta di un gesto di fiducia reciproca che pone le basi per la stabilità del cessate il fuoco.
La “fase due”: ricostruzione e nuova governance per Gaza
L’accordo introduce una fase due dedicata alla ricostruzione e alla gestione civile della Striscia.
Tra i punti principali:
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Smilitarizzazione progressiva di Hamas, con la consegna delle armi pesanti e la supervisione internazionale.
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Istituzione di un’amministrazione provvisoria, formata da tecnici palestinesi e delegati di Paesi arabi, per gestire servizi pubblici e sicurezza.
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Fondo internazionale da 12 miliardi di dollari per la ricostruzione di case, ospedali e infrastrutture energetiche.
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Riapertura graduale dei valichi di confine, inclusi Rafah, Erez e Kerem Shalom, per il transito di aiuti e merci.
Le Nazioni Unite coordineranno la missione di monitoraggio, con una forza multinazionale incaricata di garantire la sicurezza.
Le parole dei protagonisti
Il premier israeliano ha definito la firma “una scelta di coraggio e responsabilità”.
Il leader politico di Hamas ha invece parlato di “un passo verso la libertà e la dignità del popolo palestinese”.
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato che “la pace è l’unico ponte verso la stabilità della regione”.
Il presidente americano Donald Trump, che ha mediato nelle fasi finali, ha affermato:
“Oggi termina una delle guerre più lunghe del nostro tempo. È l’inizio di un nuovo Medio Oriente.”
Le reazioni internazionali e la voce delle piazze
Da tutto il mondo sono arrivate reazioni di cauto ottimismo. L’Unione Europea, il Vaticano e numerosi Paesi arabi hanno espresso sostegno al processo di pace.
A Gaza migliaia di persone hanno festeggiato nelle strade, issando bandiere e cantando per la fine dei bombardamenti. In Israele, invece, il ritorno degli ostaggi ha suscitato emozione e sollievo.
Non sono mancate, tuttavia, voci critiche: gruppi radicali palestinesi accusano Hamas di aver “ceduto”, mentre alcuni settori della politica israeliana temono un indebolimento della sicurezza nazionale.
Una tregua fragile, ma una nuova speranza
Gli esperti concordano: la pace sarà duratura solo se entrambe le parti rispetteranno gli impegni presi.
Gaza oggi è un territorio devastato, con centinaia di migliaia di sfollati e infrastrutture ridotte in macerie. La ricostruzione sarà una sfida enorme, ma anche l’occasione per rilanciare l’economia e restituire dignità alla popolazione civile.
Il successo del trattato dipenderà dalla capacità politica di evitare provocazioni e garantire sicurezza lungo i confini. Tuttavia, per la prima volta da anni, la prospettiva di un futuro pacifico appare reale.
Un giorno che entrerà nella storia
Lo storico accordo di Sharm El-Sheikh segna una svolta che supera i confini di Gaza.
Per Israele è la possibilità di chiudere un capitolo doloroso; per i palestinesi, il segnale che la diplomazia può sostituire le armi.
Il mondo osserva, consapevole che ogni pace è fragile, ma che ogni pace possibile va difesa.
L’immagine dei leader che si stringono la mano davanti alle bandiere di Israele e Palestina resterà come simbolo di un nuovo inizio per il Medio Oriente.
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1 Commento
[…] resti dei propri cari è una questione di dignità nazionale e personale.Sul piano politico, l’accordo – pur avendo posto fine al conflitto armato – rimane fragile, e qualsiasi nuova violazione […]